giovedì 11 aprile 2013

[Letteratura Giapponese #3] - La poesia: Man’yōshū & Waka

Ed eccomi tornata con un nuovo appuntamento con questa rubrica settimanale sulla letteratura giapponese. La settimana scorsa non ho pubblicato nulla, e mi scuso di ciò, ma non trovavo la chiavetta usb dove tengo i miei appunti universitari e senza quella non facevo nulla... >.< ... Ora l'ho trovata e quindi partiamo subito! ;)
L'argomento che andremo ad affrontare oggi tratta della poesia (argomento non da tutti amato, lo so) che non manca mai in campo letterario classico giapponese. In particolare parleremo dello waka e delle sue varie forme retoriche.

La poesia è una tradizione molto antica in Giappone, eistono molte serie di antologie (composte per ordine imperiale), ma noi oggi parleremo del Man'yōshū.

Raccolta delle diecimila foglie. È la più antica antologia di poesie, redatta intorno alla metà dell’VIII secolo (750), è composta da 20 maki contenenti circa 4500 poesie. È un’antologia “privata”, in quanto non commissionata su ordine imperiale. Viene considerata un’opera eterogenea per:
- Le epoche diverse che caratterizzano i componimenti;
- Le forme poetiche (waka, chōka, sedōka, kanshi, …;
- I temi (poesie d’amore, di commiato, natura, poesie di viaggio);
- L’estrazione sociale e provenienza geografica degli autori (molti dei quali anonimi, soldati, principi, principesse e aristocratici).
Importante è la lingua (simile al Kojiki). Redatto in man’yōgana, cioè con caratteri cinesi che vengono utilizzati ora semanticamente e ora foneticamente per riprodurre la pronuncia del giapponese orale. A differenza del Kojiki, però, si può rilevare una maggiore regolarità unita a molte eccezioni, dato che la standardizzazione si avrà con la creazione dei kana.
I componimenti che si trovano al suo interno sono completamente fatti di kanji. Un esempio di poesia:

梅の花今咲かなり桃鳥の声の来ほしき春き足るらし。
Ume no hana ima sakarinari momo tori no koe no kohoshiki haruki tarurashi.
I fiori di pesco/ ora sono nel pieno della fioritura/ di cento uccelli/ il canto è carico di nostalgia/ nella sopraggiunta primavera.

A volte la scelta dell’utilizzo dei kanji dipendeva oltre che per la pronuncia, anche per la via “artistica” intesa come immagine. I temi che principalmente vengono sviluppati all’interno dell’opera descrivono le stagioni, l’amore e i viaggi.
Il man’yōshū, per distinguere autori e temi trattati, viene suddiviso in quattro diversi periodi:
- I PERIODO: 629-672 (poesie attribuite a periodi precedenti);
- II PERIODO: 673-710 (spostamento della capitale a Heiankyō);
- III PERIODO: 710-733 (morte di Yamanoue no Okura);
- IV PERIODO: 733-759.
Nel primo periodo troviamo molte poesie che vengono attribuite a membri della famiglia imperiale e molti di questi componimenti vengono letti per poter comprendere la personalità di queste importanti figure storiche. Nel secondo periodo la figura più importante è Kakinomoto no Hitomaro, celebre per i chōka dedicati alla corte (per occasioni speciali), per i banka, poesie composte in occasione della morte di persone famose o degli appartenenti alla famiglia del poeta stesso (si ricordi il chōka attribuito alla morte della moglie del poeta) e per le poesie di viaggio. Nel terzo periodo, invece, iniziamo ad avere una maggiore concentrazione di individualità di poesie dove il nome dei poeti è più frequente. Si ricordi, ad esempio, Yamabe no Akahito e Ōtomo no Tabito.
Man’yōshū
In epoca classica il Man’yōshū veniva giudicato dai poeti di corte come un materiale da maneggiare con cautela per colpa della lingua arcaica e della sensibilità meno raffinata. Per tutto il Periodo Heian, invece, l’opera venne considerata sotto un punto di vista semantico e venne trattata con circospezione perché non è una raccolta poetica ufficiale.
In Giappone, in epoca classica, non esiste una distinzione fra poesia e prosa (come avveniva invece da noi), in quanto la poesia è molto più spontanea quando si vogliono esprimere sentimenti ed emozioni. Successivamente in Epoca Edo gli verrà attribuito la caratteristica makoto (schiettezza/sincerità) e masurao buri (mascolinità intesa come virilità/sentimento).
Del Man’yōshū io possiedo un plicco di fotocopie che ci diede la professoressa e da quello che mi ricordo (se ricordo bene) non dovrebbe esistere un'edizione italiana completa ma solo una parte (quella che fotocopiò per noi) che si trova dentro un'antologia di cui però non conosco il nome, mi spiace.. >.<

Il waka è considerata la forma più antica di poesia giapponese. Richiama spesso alla natura. Una delle più famose poesie composte in waka, è stata scritta dal protagonista dell’Ise monogatari, Ariwara no Narihira:

月や有らぬ春や昔の春生らぬ和が身一つ和本の身にして。
Tsuki ya aranu haru ya mukashi no haru naranu waga mi hitotsu wa moto no mi ni shite
Non è la stessa luna?
La primavera
Non è la primavera di un tempo?
Soltanto il mio corpo
Rimane quello di sempre.

L’andare a capo coi versi si ha solo in occidente. Per quanto riguarda la forma:
- Non presenta regolarità formali ad eccezione del metro. Non ha schemi regolari, accenti, rime o toni (ritenevano che la ripetizione fosse il “male della poesia”);
- Si divide in ku superiore 5,7,7 (kami no ku) e in ku inferiore 7,7 (shino no ku). Quindi la produzione si sviluppa su schema 5,7,5,7,7;
- Ci possono essere pause, cesure tra un verso e l’altro, le cosiddette kugire (non indicate dal punto di vista grafico).

Esempio di un componimento in waka
A causa della sua brevità il waka ha sviluppato una tradizione di figure retoriche che servono per espandere l’espressività del verso. Si ricordino:
- JOKOTOBA: parole d’introduzione. Sono una serie di parole di 3 versi che precedono un determinato termine (struttura formulaica= usate nell’epica, sono “appunti” che ricordano porzioni di testo lunghe che vengono utilizzate per la memorizzazione del testo: formule fisse). Ha una struttura arcaica e non più produttiva dopo il Man’yōshū (diverrà un singolo aggettivo). Il nesso che si crea fra jokotoba e parola modificata può essere a carattere semantico o fonetico.
- KAKEKOTOBA: parola perno. Singola parola che caratterizza due diversi significati, è una parola collocata fra due sintagmi o immagini. Tipico del kakekotoba l’uso che si fa spesso di mastu (doppio significato di “pino” e “aspettare”).
- MAKURAKOTOBA: parola – cuscino. Ha una funzione simile al jokotoba ma sono più corti (non supera le 5 more – sillabe), consiste in un unico termine che modifica in modo formulaico un determinato termine. È una risorsa arcaizzante.
- ENGO: letteralmente parole legate. Consiste nell’inserire termini che si rimandano tra loro dal punto di vista semantico con giochi di sinonimia. Esempio: kōri (ghiaccio), kiyu (svanire), mushubu (congelarsi) che riportano all’inverno e ad un amore infelice che svanisce.
- UTAMAKURA: lo si trova anche nella prosa. Sono luoghi reali o fittizi del Giappone che sono diventati stereotipi, quindi richiamandoli si evocano automaticamente le immagini ad essere associate. Esempio: Yoshino, famoso per i ciliegi e le uscite della famiglia imperiale. Oppure l’Asugawa, fiume che simboleggia il passare veloce della vita.
- KOTOBAGAKI: è un’interruzione della poesia tramite frasi che “raccontavano” con una breve presentazione in prosa, cioè davano informazioni sul tema e su nome dell’autore.

Oltre allo waka, esistono altre forme poetiche. Esse sono:
CHOKA: poesia lunga. Presenta una lunghezza indefinita e si basa sempre su versi che variano da 5 a 7 more e si conclude sempre con una coppia finale di 7 more. Questo genere poetico può essere denominato un’eccezione, dato che la poesia giapponese in genere è corta. Anche i temi che vengono presentati sono maggiori, hanno una forma più narrativa e descrittiva. Dopo il Man’yōshū se ne troveranno pochi.
SEDOKA: anche questo genere poetico scompare dopo il Man’yōshū. Presenta il metro 5,7,7,5,7,7. Ne esistono circa 60 esemplari e prendono in analisi temi riguardanti il lutto.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...